Friday, October 28, 2016

Desiderio di solitudine?


Esiste un bisogno psichico primario, che ha sempre accompagnato l’uomo in tutta la sua storia: poter stare da solo. Non parliamo di una ben poco auspicabile solitudine sociale, dato che gli esseri umani sono “costruiti” per essere in relazione, ma come possibilità di avere tempo e spazi per stare con se stessi, per sganciarsi momentaneamente dagli altri e quindi agganciarsi di più alla propria essenza: ritrovare la sensazione di sé, sentirsi, riunificarsi. Non si tratta di meditare o di pregare, ma semplicemente di non essere connessi con la consueta rete di relazioni, sia concrete che virtuali. Momenti nei quali la mente ha assoluto bisogno di non essere interrotta da richieste esterne, così da poter svolgere le fondamentali operazioni di “reset” dallo stress quotidiano, di relax, di concentrazione energetica e di percezione di senso, che possono avvenire solo in questo modo. Lo stile di vita che ci viene imposto dalla società, non lo prevede: al contrario, sembra fare di tutto per non lasciarci mai soli. Le richieste professionali, sociali, familiari e amicali si sono moltiplicate a causa della tecnologia che ci rende raggiungibili in ogni momento, aumentano proprio il livello di stress.Oggi disconnettersi dalle relazioni, anche se per poco, sembra quasi un delitto. Diventare irraggiungibili per un’ora può farci sentire addirittura in colpa. Perciò è necessario legittimare il proprio bisogno di stare un po’ da soli: se aspettiamo che sia la realtà esterna a lasciarci lo spazio, non l’avremo mai.
Stare da soli ogni tanto fa bene perché: 
- Ti rimette subito in contatto con te stesso
- L’identità si rinforza e lo stress si riduce
- Ascolti meglio le tue riflessioni ed emozioni.
- Arrivano pensieri e idee altrimenti non attingibili.
- Riequilibri la mente e la psiche si ricarica.
- Ti predisponi meglio alla vita di relazione.
Due modi di percepire la solitudine:
1) la “Hilflosigkeit” o “mancanza di aiuto”
Il sentimento prevalente è di essere abbandonati, si avverte dolorosamente un’assenza, una perdita; è quella che Freud chiamò Hilflosigkeit o mancanza di aiuto. Il modello fondamentale è quello del trauma della nascita: ciò che può provare un neonato sbalzato fuori dalla calda protezione dell’utero materno ritrovandosi esposto alle intemperie e alle asperità del mondo. E’ un sentimento che può essere avvertito in gradi diversi, accompagnandosi a stati interni che possono andare dalla disperazione (il panico, per fare un esempio, che potrebbe provare un naufrago sperduto in mezzo all’oceano) allo struggimento o alla nostalgia.
2) Il deserto degli affetti
In questo caso il sentimento di solitudine, pur con diverse gradazioni e sfumature, si connota come sentimento di indifferenza, di aridità affettiva. Non soltanto ci sembra che nessuno ci ami o si preoccupi di noi, ma avvertiamo un’incapacità di amare, un vuoto interiore, una mancanza di interesse e un’impossibilità di legarsi affettivamente a chicchessia.
I processi psichici che concorrono a queste condizioni psicologiche sono molteplici e complessi e si correlano alle diverse esperienze di vita di ognuno. Vorrei qui soffermarmi in particolare su un punto: il problema dell’autostima collegato al sentimento della propria identità. Un soddisfacente sentimento di sé ed un buon livello di autostima possono infatti essere metaforicamente rappresentati da quella immagine a cui ho accennato prima, di una dispensa contenente le provviste a cui attingere in caso di bisogno, il che ci rinvia in qualche modo al senso di “pieno” o di “vuoto”.Da un punto di vista psicoanalitico il processo di formazione dell’identità si fonda essenzialmente sul meccanismo dell’identificazione, attraverso il quale noi tesaurizziamo le nostre relazioni affettivamente significative con il mondo, sì che, semplificando, si può dire che noi “siamo” le nostre esperienze, il risultato cioè di una interrelazione tra noi e il mondo. Se è vero che questo processo dura tutta la vita, è pur vero che l’infanzia e successivamente l’adolescenza sono due momenti cruciali nella costituzione del nucleo centrale della nostra identità. Diversi studi hanno dimostrato l’influenza determinante del vissuto del primissimo periodo di vita nella strutturazione delle stesse funzioni mentali, tra cui il meccanismo dell’identificazione, che può fermarsi ad uno stadio primitivo, di pura e semplice imitazione, o svilupparsi, in concomitanza con un buon processo di crescita e di individuazione, in una elaborazione più complessa ed autonoma dell’esperienza.

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