Tuesday, September 20, 2016

solitudine2

Esiste nella mente d’ogni uomo un angolo nascosto che possiede una grande energia.
In quella parte della mente si annidano delle sensazioni molto intense, sopite per la maggior parte del tempo quotidiano ma
dirompenti quando la barriera della coscienza cede all'imperativo espressivo. In queste pagine vorrei condividere con voi una di quelle sensazioni. La sensazione unica ed inconfondibile della solitudine. Se vi chiedete il perché di questo tema sappiate che non ho una risposta tutt'al più penso, a ragione o a torto, che il parlarne ci può giovare.
La solitudine è un oggetto misterioso quanto affascinante. Amata, odiata, o ricercata ha contribuito al destino degli uomini, ma...
Concedetemi una pausa. Non vorrei parlare della solitudine dei grandi uomini,  ma di quella più semplice che ci accompagna
quotidianamente. La solitudine della gente comune, che vive, lavora, sta insieme con gli altri e non per questo n’è esente e non per questo diverrà mai un esempio per gli altri.
Esiste dunque una solitudine comune? Si, penso proprio di si, quella dei piccoli gesti quotidiani. Da quando nasciamo la solitudine ci accompagna ;
È una cosa bella? È brutta? Ma! Sicuramente è necessaria..
Della solitudine, dunque, non ne possiamo fare a meno. Ci riconduce ad una perdita, ad un sentirci lontano da ciò che desideriamo, da ciò che amiamo. Ciononostante, guardando il
veloce fluire degli eventi quotidiani, ci appare strano che esista la solitudine. Viviamo in un mondo sovraffollato. Le città sono caotiche, le strade ingombre d’auto, gli spazi vitali sempre più ristretti. Riusciamo a ritrovare una dimensione più “umana” quando troviamo un angolo verde, tranquillo, dove siamo “soli”.
Tutto ciò sembra un paradosso. Fuggiamo dalla solitudine e viviamo in città compresse, ma ritroviamo noi stessi quando siamo soli.
Probabilmente, la solitudine ci appartiene e ci protegge, come la nostra pelle.
 Certamente la società, in cui viviamo, non ci aiuta ad elaborare la solitudine, a farla diventare un elemento di forza e non di sconforto. I mass media, gli slogan pubblicitari invitano, se così si può dire, ad isolarsi, ad esprimerci nell’unicità. La pretesa d’unicità è immaginaria, poiché tutto ciò che ci propongono è raggiungibile da tutti con i medesimi oggetti. “Un’unica sensazione di benessere”: riecheggia la voce nella pubblicità. L’uomo sembra, dunque, fuggire incessantemente dalla solitudine, ma compie il gioco del gatto che si morde la coda, la
ripropone, puntualmente, come un destino maledetto che non lascia scampo alla ripetizione, nelle sue costruzioni sociali.
Proponendomi di raccontare le quotidiane sensazioni sulla solitudine, ho provato ad osservare quante volte, nell’arco di una sola giornata della mia vita, mi sono sentita sola.
Ho avuto un sussulto, quando, alzandomi la mattina, mi sono reso conto che avevo trascorso la notte da sola. È vero, i sogni mi hanno tenuto compagnia nella notte, ma al mio risveglio  non avevo che me stessa  rannicchiata in un lato del letto.
Forse questa è una banalità, ma di quante banalità è fatta la nostra giornata. Avete mai osservato le persone per la strada che si afferrano per mano? È un gesto unico, di profondo affetto. È un modo per stare vicino ad un altro. È un modo per sentirsi vicini alle persone che si amiamo. Quante volte, però, la mano tesa non ha ricevuto risposta? Perché si, perché no, poco importa. In quegli attimi, il tempo acquista significato e la nostra capacità di vivere la solitudine è messa a confronto con la nostra natura più intima. Sarà poi la nostra eredità “emotiva” a definire il grado di tollerabilità della stessa. È dunque
nel destino dell’uomo avvertire la solitudine, anche nei piccoli gesti quotidiani, come quello di salutare un amico che si congeda? Si, penso di si, ma non sempre ne rimaniamo traumatizzati. La storia ci ha insegnato, come se non avessimo già imparato abbastanza dalla nostra vita quotidiana, quanta forza si può acquisire dal restare solo. L’impossibilità di esprimersi, provocata da situazioni forzate, ha permesso a Dostoevskij il recupero di forze spirituali che gli ha permesso di sopportare la prigionia e di scrivere opere memorabili. Lo stesso Beethoven, ha dato alla luce la sua opera più geniale nel silenzio fisico. Gli orientali affermano che “dal fango può nascere un fior di loto”. Noi, possiamo affermare con altrettanta enfasi che “dalla solitudine può nascere la creatività”. Allora la solitudine non è solo rifiutata, ma ricercata. Mi riferisco alla solitudine feconda quella che non scade in isolamento e che permette di realizzare dei veri incontri, prima tra tutto quello con se stessi. Nasce allora la fiducia, costruita con gli anni, sicuri d’avere uno spazio, prima mentale che fisico, dove è
possibile integrare i pensieri con i sentimenti. La preghiera, la meditazione, il concedersi una pausa, magari facendo il giro dell’isolato, permette un momento di astrazione, di abbandono ad un silenzio ristoratore. E’ un viversi dentro possibile, in grado di attribuire significato alla vita, alle emozioni, al silenzio ritrovato. Non a caso la normalità, la nevrosi e la psicosi esprimono, in modo diverso, la capacità di vivere la solitudine. Per alcune persone, la solitudine garantisce loro l’equilibrio psichico ed affettivo. Grazie ad una breve fuga dalla tensione quotidiana è possibile evitare un leggero stato di
depressione e magari, perché no, investire in creatività. Parimenti ciò non accade nelle forme in cui il disturbo psichico è più importante. In quei casi la solitudine corrisponde ad un pericolo, potentissimo e violento. La capacità a tollerare la solitudine, purtroppo non è distribuita dalla natura in modo eguale.
Non è un destino immutabile, dalla solitudine si può emergere e se non è possibile farlo da soli perché non farsi aiutare. Non è forse quello che continuano a dire, in modo più o meno diretto, gli psicologici e gli psicoterapeuti di ogni dove?
La solitudine può diventare, allora, una compagna amica.

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