Friday, May 25, 2018

La tristezza

Ovviamente non è che sono sempre triste o anche se lo sono non lo dico. In realtà non faccio nulla che possa fare pensare che sia davvero triste,

semplicemente faccio le cose che facciamo tutti noi, tutti i giorni, anche se in maniera un po’ strana. Tutti noi che tutti i giorni almeno una volta al

giorno ci sentiamo un po’ giù.

Questo significa che siamo tutti un po’ tristi?
Sì.
Non sempre, ovvio - ma, di certo, la tristezza è una condizione che conosciamo tutti bene, come quella della fame è organica.
É questo il senso di ciò che non si può dire, ed è questo, spesso, un tabù di cui si fatica a parlare, anche se, se ci pensate bene, è una cosa assolutamente

aderente al modo in cui l'essere umano è: volubile e indefinito, soprattutto pieno di limiti. Perché è da lì che ha origine, e anche conseguenza, quella

sensazione di tedio e di nostalgico sprofondamento: dalla certezza quasi dolorosa che ci sia un limite a ciò che vogliamo/desideriamo fare/essere. Il limite

è il peso specifico della tristezza, ma è proprio in questo suo aspetto così antipatico che risiede la sua fisiologica appartenenza all'essere umano: senza i

limiti, senza la percezione che ci debba, in tutte le cose, essere una cornice che delimiti e ordini la realtà, la specie umana avrebbe avuto una sua

particolare evoluzione sghemba, forse del tutto inesistente.
Quando non si trasforma in aspetti patologici più seri e persistenti, la tristezza è un aspetto normale delle donne e degli uomini, ci dice una cosa che ci

appartiene come una gamba e il cuore, e in quanto nostra, va abbracciata;  la tristezza è una cosa blu un po’ malinconica che non va gettata dal balcone o

curata con decine di pillole, ma va accolta, compresa e magari anche coccolata; farci una coperta,  o, addirittura, un museo: il museo della tristezza che si

celebra, costruito grazie a una serie strampalata di personaggi che orbitano nella nostra vita, e a un sarto: l’unico che sappia cucire, ritagliare,

riassemblare con estrema pazienza i mille pezzettini di noi che cercano in tutti i modi di sopravvivere tutti interi.

Mentre mi trovo in piedi sulla scaletta della vita, penso che fosse l’occasione giusta per portare via la sua vecchia vita: con molta energia iniziò a tirar

giù pezzi dal soppalco. Presi lembi di cielo con alcune nuvole e li rimontai sopra una montagna piatta stirando con le mani i segni consunti lasciati dalle

piegature, dispose in ordine le minute, lontane casette del paesino e le incastrai sopra al fiume.Poi piegai e spinsi via la sua vecchia vita nel sacco blu

con il cordone rosso con cui trasportavo e la ridussi a uno stretto involto: solo allora mi accorsi che era passata la mezzanotte.

Io che penso di essere triste non ho un nome; sono un uomo e basta, come tutti noi;
É in questo elemento fondante della mia vita, che risiede l'ingrediente più riuscito della storia: nel linguaggio senza costrizioni, in termini di invenzione

immaginifica,  che riesce a sdoganare, appunto, quei limiti impositivi della realtà che generano il sentimento della tristezza. Grazie all'uso delle parole,

messe al servizio di una immaginazione redentoria, la tristezza può diventare una compagna gentile con cui si può anche cenare, farci due chiacchiere e

cavarci qualcosa di buono. Mi viene da dire che più che una vita sulla tristezza, è un vita che celebra la capacità salvifica dell'immaginazione.

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