Tuesday, March 31, 2009

un vecchio amore : Zeno






da: La coscienza di Zeno
3. Il fumo
Il dottore al quale ne parlai mi disse d'iniziare il mio lavoro con un'analisi storica della mia
propensione al fumo:
- Scriva! Scriva! Vedrà come arriverà a vedersi intero.
Credo che del fumo posso scrivere qui al mio tavolo senz'andar a sognare su quella
poltrona. Non so come cominciare e invoco l'assistenza delle sigarette tutte tanto
somiglianti a quella che ho in mano.
Oggi scopro subito qualche cosa che piú non ricordavo. Le prime sigarette ch'io fumai non
esistono piú in commercio. Intorno al '70 se ne avevano in Austria di quelle che venivano
vendute in scatoline di cartone munite del marchio dell'aquila bicipite. Ecco: attorno a una
di quelle scatole s'aggruppano subito varie persone con qualche loro tratto, sufficiente per
suggerirmene il nome, non bastevole però a commovermi per l'impensato incontro. Tento
di ottenere di piú e vado alla poltrona: le persone sbiadiscono e al loro posto si mettono
dei buffoni che mi deridono. Ritorno sconfortato al tavolo.
Una delle figure, dalla voce un po' roca, era Giuseppe, un giovinetto della stessa mia età,
e l'altra, mio fratello, di un anno di me piú giovine e morto tanti anni or sono. Pare che
Giuseppe ricevesse molto denaro dal padre suo e ci regalasse di quelle sigarette. Ma
sono certo che ne offriva di piú a mio fratello che a me. Donde la necessità in cui mi trovai
di procurarmene da me delle altre. Cosí avvenne che rubai. D'estate mio padre
abbandonava su una sedia nel tinello il suo panciotto nel cui taschino si trovavano sempre
degli spiccioli: mi procuravo i dieci soldi occorrenti per acquistare la preziosa scatoletta e
fumavo una dopo l'altra le dieci sigarette che conteneva, per non conservare a lungo il
compromettente frutto del furto.
Tutto ciò giaceva nella mia coscienza a portata di mano. Risorge solo ora perché non
sapevo prima che potesse avere importanza. Ecco che ho registrata l'origine della sozza
abitudine e (chissà?) forse ne sono già guarito. Perciò, per provare, accendo un'ultima
sigaretta e forse la getterò via subito, disgustato.
Poi ricordo che un giorno mio padre mi sorprese col suo panciotto in mano. Io, con una
sfacciataggine che ora non avrei e che ancora adesso mi disgusta (chissà che tale
disgusto non abbia una grande importanza nella mia cura) gli dissi che m'era venuta la
curiosità di contarne i bottoni. Mio padre rise delle mie disposizioni alla matematica o alla
sartoria e non s'avvide che avevo le dita nel taschino del suo panciotto. A mio onore posso
dire che bastò quel riso rivolto alla mia innocenza quand'essa non esisteva piú, per
impedirmi per sempre di rubare. Cioè... rubai ancora, ma senza saperlo. Mio padre
lasciava per la casa dei sigari virginia fumati a mezzo, in bilico su tavoli e armadi. Io
credevo fosse il suo modo di gettarli via e credevo anche di sapere che la nostra vecchia
fantesca, Catina, li buttasse via. Andavo a fumarli di nascosto. Già all'atto
d'impadronirmene venivo pervaso da un brivido di ribrezzo sapendo quale malessere
m'avrebbero procurato. Poi li fumavo finché la mia fronte non si fosse coperta di sudori
freddi e il mio stomaco si contorcesse.


Italo Svevo

Aron Hector Schmitz nasce a Trieste nel 1861 da una famiglia di origine ebraica. Segue studi commerciali in Germania per aiutare il padre nell’azienda, ma parla in triestino-veneto e scrive in italiano. La commistione di questi elementi lo porta a scegliere uno pseudonimo che esprima la compresenza della cultura italiana e germanica, Italo Svevo.
Il maggiore scrittore triestino del suo tempo e uno tra i più importanti della letteratura italiana contemporanea, esprime le problematiche della borghesia triestina dell'epoca, incertezze spesso collegate alla questione dell'identità e della scelta della lingua.
Nel suo primo romanzo Una vita, che viene ignorato dal pubblico e dalla critica, Italo Svevo esprime il disagio del divario sociale nella Trieste di fine Ottocento. Nel secondo romanzo, Senilità, che passa nuovamente sotto silenzio, Svevo assimila lo stato d'animo dell'inetto a quello del vecchio, perché il primo contempla la vita con la stessa malinconia e la nostalgia di un vecchio per la giovinezza, sentendosene sempre estraneo.
La vera svolta nella vita di Svevo avviene quando incontra a Trieste James Joyce. L’apprezzamento di Joyce per i romanzi di Svevo e l’incoraggiamento a continuare la sua opera, danno allo scrittore triestino nuova linfa per la sua opera più complessa, La Coscienza di Zeno. Sarà questo romanzo a far conoscere Svevo a livello italiano e internazionale, anche grazie all’appoggio dell’amico Joyce e all’interesse di Eugenio Montale.
Nel 1928 Italo Svevo muore a causa di un incidente, e viene sepolto a Motta di Livenza

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